Altari laterali nella Chiesa di Sant’Antonino Martire
Situato nel tratto delimitato da una doppia ansa del corso del fiume Po, nella parte sud-occidentale della provincia di Rovigo, il paese di Ficarolo, che un tempo con parte del territorio polesano costituiva la cosiddetta Transpadana ferrarese, mostra nell’ambito dell’architettura religiosa caratteristiche peculiari che rendono la sua parrocchiale “un unicum” in tutto il Polesine. Un aspetto non considerato negli studi pubblicati alcuni anni fa su tale chiesa intitolata a Sant’Antonino prete e martire furono gli altari laterali, e qui si cercherà di colmare questa lacuna.
Quando l’odierna Chiesa arcipretale di Ficarolo fu aperta al culto, nel 1772, le cappelle laterali presentavano un aspetto diverso dall’attuale, ed inoltre per due di esse anche la titolazione non era quella che oggi conosciamo. Guardando dalla porta principale verso l’altare maggiore, sul lato sinistro si trovavano quelle dedicate rispettivamente a S. Antonio da Padova ed alla Beata Maria Vergine del Rosario. Similmente sul lato destro si susseguivano le cappelle dei Santi Rocco e Sebastiano con la pala della Beata Maria Vergine della Salute ed i santi suddetti, e quella dei Santi Antonino e Carlo Borromeo con la tela che li raffigurava e che ora trova posto nella parete dell’abside sopra il coro. Ognuna delle quattro cappelle presentava nella parte superiore una finestra, le cui vestigia murate si possono osservare ancora nella muraglia esterna. All’epoca in cui furono costruiti, gli altari avevano unicamente l’urna di pietra lavorata a stucco, e solamente una decina di anni più tardi furono dipinti a finto marmo dal pittore ferrarese Massimo Baseggio.
Una prima variazione della sistemazione originaria avvenne quasi al termine del periodo napoleonico con l’acquisto e la posa di una vera copertura marmorea ai due altari prospicienti il presbiterio.
L’arrivo dei francesi sul finire del secolo XVIII aveva portato oltre ad una serie di cambiamenti politici anche uno sconvolgimento in campo ecclesiastico poiché con l’emanazione di diverse leggi, come quelle del 1798, del 25 marzo 1804, del 1805 e del 27 aprile 1810, venivano autorizzate concentrazioni, traslocazioni, e soppressioni di corporazioni ecclesiastiche, confraternite e monasteri, avocando alla Nazione sia i beni posseduti che le loro stesse sedi. Fra le varie proprietà entrate in questo modo in possesso del Demanio, vi furono anche diverse chiese di Ferrara con tutti i loro arredi. Si presentò in questo modo la possibilità, il 20 marzo 1813, a due componenti della fabbriceria di Ficarolo, il sacerdote Don Giuseppe Passini e il signor Natale Notari, di poter acquistare dal demanio due altari marmorei pagandoli in tre rate, e cioè il 20 marzo 1813 data della stipula del contratto, per S. Michele ed a Natale sempre del medesimo anno, per la somma di lire 925, ovvero in altre valute dell’epoca, 185 napoleoni, o scudi romani 172: 22: 11.
Il valore dei due altari era stato determinato dalla perizia effettuata l’11 febbraio 1813 dall’ingegnere civile Antonio Manfredini, il quale per il suo intervento ricevette la somma di 100 lire. Il compito di atterrare i due altari a Ferrara ed innalzarli a Ficarolo fu affidato a Giuseppe Tiozzo, un “marmorino” che nello stato anime del 1813 risulta risiedere in questo paese, pagandolo a compenso del suo lavoro 140 bavare. Furono sostenute anche altre spese, fra le quali ad esempio quelle per tre moggia di calcina, per armatura, chiodi e cavicchi (20 lire), oltre a quelle fatte a Ferrara per ripristinare la muraglia alla quale erano stati tolti gli altari (altre 20 lire), e dal Tiozzo e dal Notari per se stessi e per vitto e stallatico del cavallo. L’11 agosto del 1813 i lavori erano terminati, come dimostra una lettera di ricevuta a saldo del Tiozzo, però la situazione degli altari si presentava in maniera difforme. Mentre su quello della Beata Maria Vergine poteva essere posta nella nicchia la statua preesistente, nell’altro la pala con i Santi Antonino e Carlo non era più idonea per dimensioni e forma ad esservi inserita, per cui venne mutata la titolazione a favore del SS. Crocefisso. Ad Alberto Mucchiatti (1744-1828), pittore oriundo di Ficarolo, fu affidato il compito di eseguire una nuova tela che si adattasse all’altare, e tale quadro fu dipinto con le immagini della Beata Vergine Addolorata e S. Giovanni utilizzando e mantenendo in primo piano il vecchio crocefisso, già presente nella chiesa di Ficarolo atterrata nel 1588, risalente pertanto almeno al XVI secolo, ma forse ancora più antico.
Il fortunato ritrovamento nell’Archivio Parrocchiale di Ficarolo, ad opera di chi scrive, dell’atto di acquisto effettuato da Natale Notari il 20 marzo 1813 a Ferrara, presso l’ufficio del segretario del demanio Francesco Taffarini, dove vengono descritte le modalità di tale negozio, ed ancor più delle tre ricevute di versamento rilasciate dalla “Cassa di Amortizazione” comprovanti gli avvenuti pagamenti rateali, hanno permesso di stabilire con esattezza la provenienza dei due altari marmorei. Una in particolare riporta: “due altari di marmo esistenti nella chiesa esterna del mon(aster)o di S. Antonio”.
A Ferrara vi erano allora, come anche oggigiorno, due chiese dedicate a Sant’Antonio Abate, di cui una sola però con annesso monastero benedettino femminile, e denominata Sant’Antonio in Polesine, o delle monache, e l’altra detta per distinguerla Sant’Antonio Vecchio.
Un piccolo convento, con annesso oratorio, costruito su un’isola posta in un punto di confluenza dei due rami principali del Po alto-medioevale, il Po di Volano e quello di Primaro, probabilmente già prima del Mille, nel 1257 venne ceduto dagli eremitani di Sant’Agostino che l’abitavano, al marchese Azzo VII d’Este. Questi ne fece dono alla figlia Beatrice che già da alcuni anni era entrata nell’ordine benedettino. Con l’aiuto di alcuni benefattori il convento fu restaurato ed ampliato e venne costruita la chiesa su disegno dell’architetto Tigrino. La situazione nel frattempo era andata mutando per il progressivo impoverirsi del Po di Ferrara, in atto sin dal XII secolo a causa della rotta di Ficarolo, e comunque già nel 1401 l’isola era del tutto collegata alla terraferma, rimanendo solo il toponimo Polesine a ricordare la primitiva situazione.
La chiesa fu consacrata nel 1412 dal vescovo Boiardi e non si attesero le ferree regole del concilio tridentino per separare questo edificio in due spazi, uno per i fedeli e l’altro per le preghiere delle monache. Ciò era stato suggerito dal grande afflusso di devoti che si recavano alla tomba della beata Beatrice d’Este, incompatibile con la prassi del ritiro monastico, e già dal 1473 si ottennero, dividendo l’edificio, le due chiese attuali (l’esterna e l’interna). Dalle descrizioni della chiesa, che ci vengono riportate sia dallo Scalabrini che dal Barotti nella seconda metà del Settecento, conosciamo che per tutto il secolo XVII si susseguirono interventi che riguardarono gli arredi della chiesa esterna, fra i quali l’erezione dell’altare del Santissimo Rosario della Compagnia omonima (1616), quello dell’altare della Santissima Trinità (1625) sulla parete opposta, e l’esuberante decorazione di gusto barocco del soffitto ultimata il 27 ottobre 1677 dal pittore Francesco Ferrari e suoi collaboratori. In questo edificio, che per noi riveste maggior interesse, si trovavano l’altare maggiore con la pala della Deposizione del Cristo, del pittore Benvenuto Tisi detto il Garofolo e due altari laterali, di cui uno con una statua della Beata Vergine e l’altro con un quadro nel quale erano rappresentati la SS. Trinità, S. Benedetto, S. Antonio Abate e la Beata Beatrice d’Este, lavoro attribuito al pittore bolognese Antonio Randa. Durante il periodo napoleonico il complesso monastico di Sant’Antonio in Polesine venne dichiarato reclusorio, destinato cioè ad accogliere le monache degli altri ordini fino alla loro estinzione. In questo modo, pur fra notevoli difficoltà, fu mantenuto aperto parte del convento gravitante attorno alla chiesa interna, mentre al contrario quella esterna nel 1796 veniva chiusa per essere poi riaperta alcuni anni dopo. Da quest’ultima vennero così asportati pertanto non solo dipinti come la “Deposizione del Cristo” del Garofolo, ma anche i due secenteschi altari barocchi laterali, che presero la via di Ficarolo.
Trascorsi oltre sessant’anni dalla posa in opera delle coperture marmoree agli altari della B.M.V. del Rosario e del SS. Crocifisso, quelli di Sant’Antonio di Padova e di S. Rocco rimanevano ancora nelle condizioni in cui erano stati innalzati, per cui durante l’arcipretura (1 maggio 1870-10 aprile 1887) di don Francesco Sansoni, si giunse alla determinazione di eguagliarli nella forma ai due già sistemati.
Abbiamo, a questo proposito, una lettera di preventivi per l’innalzamento marmoreo dei due altari, redatta il 10 ottobre 1881 da Pietro Cressini marmista di S. Ambrogio di Valpolicella ed inviata al fabbricere di Ficarolo Giuseppe Vaccari. Questo Cressini era già conosciuto sia ai fabbriceri che ai parrocchiani di Ficarolo per aver già lavorato per questa chiesa nel 1874, con la fornitura delle lastre marmoree utilizzate per rifare il pavimento della chiesa, e nell’anno seguente con la consegna delle dodici Croci eseguite in marmo e necessarie per la consacrazione della chiesa, avvenuta il 26 settembre 1875.
Nella cappella dedicata a Sant’ Antonio da Padova, nella nicchia posta sopra l’altare vi era, allora come oggi, una statua in stucco opera del bolognese Antonio Barzaga e donata alla parrocchia nel 1804 dall’arciprete Don Giuseppe Filippi, che si assunse l’onere della spesa ammontante a talleri 74, baiocchi 53 e denari 6. Con la sistemazione marmorea l’altare venne a trovarsi più in alto, per cui anche la nicchia dovette essere sopraelevata di circa un metro; cambiamenti le cui tracce si possono ancora vedere sul muro esterno (immagine).
La cappella del lato opposto era dedicata fino ad allora a S. Rocco ed aveva sopra l’altare la pala con i santi Rocco e Sebastiano e la Beata Maria Vergine della Salute; solamente nel 1883 venne titolata a S. Luigi Gonzaga, ponendo sopra l’altare, nella nicchia a tale scopo appositamente costruita, la statua del santo, che fino allora si trovava in una nicchia in cornu (lato) evangeli dell’altare maggiore e che era stata donata nel 1819 dal fabbriciere Luigi Pellegatti Ricci,.
Il compenso richiesto dal Cressini per questi marmi, loro lucidatura e posa in opera fu di lire 5300 per ciascun altare, con la possibilità tuttavia, come troviamo espresso alla fine della lettera, di concludere il tutto con la cifra di lire 10000 in totale.
Gli altari furono completati nel 1883, come si può osservare dalle scritte apposte su di essi, e la cifra finale pagata risulta essere stata appunto di lire 10000. A parte questa lettera, concernente il costo e la scelta dei marmi, non sono stati trovati nell’archivio parrocchiale altri documenti riguardanti tali lavori, per cui dobbiamo fare una comparazione tra questo preventivo e gli altari come attualmente si presentano. Sono enumerati venti punti con le specifiche dei marmi da usare per i diversi elementi degli altari, alcuni dei quali attuati di pari passo, ed alcuni altri invece con qualche variazione nell’impiego dei colori in modo da differenziarli in parte. Il cambiamento più consistente per quel che concerne il lavoro preventivato avvenne soprattutto negli alzati, che originariamente erano previsti “forati” nel mezzo con una raggiata in ferro dorato per dare luce alla chiesa attraverso le finestre allora ancora aperte, ma poi lasciati interi per renderli più simili ai precedenti altari.
Luciano Pigaiani